Insulti razzisti. La Corte Sportiva infligge due turni a porte chiuse
DELIBERE DELLA CORTE SPORTIVA DI APPELLO
IL GIORNO 24 FEBBRAIO 2019 PRESSO LA SEDE DEL C.R. MOLISE SI È RIUNITA LA CORTE SPORTIVA DI APPELLO COSÌ COMPOSTA
:AVV. SERAFINO GIOVANNI PRESIDENTE
AVV. LIGUORI MICHELE COMPONENTE
DOTT. CAMPA LUCIO COMPONENTE
SIG. SCARPITTI MARIO SEGRETARIO
PER DISCUTERE DEL SEGUENTI RECLAMO:
ASD GIOVANI CASTROPIGNANO – AVVERSO PROVVEDIMENTO DEL G.S.T. RIPORTATO SUL C.U. N. 59 DEL 03.01.2019(AMMENDA SOCIETA’ CON DIFFIDA)(COPPA MOLISE SECONDA CATEGORIA – GARA DEL 30.12.2018)
La Corte Sportiva di Appello, letto il reclamo proposto dalla società ASD Giovani Castropignano avverso la decisione del Giudice Sportivo Territoriale, pubblicato nel C.U. n. 59 del 3 gennaio2019, inerente la gara della coppa Molise seconda categoria, disputata in data 30 dicembre 2018 tra la società Sporting Torella e ASD Giovani Castropignano, con la quale è stata inflitta a quest’ultima società la punizione sportiva dell’ammenda di € 150,00 con diffida;
-sentito il presidente della società Giovani Castropignano nella seduta odierna;
-visti gli atti del procedimento,
osserva quanto segue.Il Giudice Sportivo Territoriale, letto il referto di gara, rilevava che al 30° del primo tempo, (invero si trattava del secondo tempo e per mero errore materiale nel provvedimento sanzionatorio indicavail primo tempo), il direttore di gara era costretto ad interrompere l’incontro in seguito agli insulti caratterizzati da discriminazione razziale rivolti dai sostenitori della società Giovani Castropignano ad un calciatore della squadra antagonista. Solo grazie all’intervento dei dirigenti della società Sporting Torella, cessavano gli insulti e il giocopoteva riprendere. Ad ogni modo, il Giudice Sportivo riteneva che la condotta sopra descritta non rientrava nelle ipotesi contemplate dall’art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva.
Avverso il provvedimento del Giudice di prime cure, è insorta la società ASD Giovani Castropignano, affidandosi ad un unico ed articolato motivo di reclamo, con il quale lamenta l’errata ricostruzione dei fatti. Sostiene la società reclamante che il calciatore Lassana Keita, durante la gara, in più occasioni, ai regolari contrasti di gioco, reagiva in modo scomposto, tantoche veniva ammonito dal direttore di gara: la tifoseria dalla società Giovani Castropignanonell’occasione esortava l’arbitro a prendere provvedimenti più drastici, stante il reiteratocomportamento scorretto del calciatore ammonito. Durante la seconda frazione di gioco, il calciatore Keita a causa dei recidivanti comportamentiscorretti, veniva espulso: sempre la tifoseria ospite si limitava a “rumoreggiare” perché il provvedimento sanzionatorio andava adottato in precedenza. Nell’immediatezza dell’espulsione il calciatore dello Sporting inveiva sia contro l’arbitro che controla panchina ed il pubblico ospite, tanto da costringere i dirigenti e gli altri giocatori della sua società ad entrare nel rettangolo di gioco per calmarlo. Qualche minuto dopo, “un altro calciatore di colore della squadra locale aveva un contrasto di gioco, regolare, con avversario, ma i dirigenti della squadra di casa, inspiegabilmente, chiamavano l’arbitro chiedendo di sanzionare il loro giocatore perché anche lui di colore” (così a pag. 2 delreclamo): era in quel momento che l’arbitro sospendeva il gioco per calmare i dirigenti della squadra avversaria. Dopodiché la gara riprendeva regolarmente e terminava con il risultato favorevole per la compagine ospite.
Il motivo di reclamo è infondato. Preliminarmente va evidenziato che questa Corte federale, a mente dell’art. 36 comma 3 CGS,valutati gli atti del procedimento, può adottare un provvedimento più afflittivo (cosiddetta reformatioin peius).E’ da sottolineare anche che il referto dell’arbitro è fonte di prova privilegiata. Com’è noto, l’art. 35 del Codice di Giustizia Sportiva, regolando i mezzi di prova, prevede che “i rapporti dell’arbitro, degli assistenti e del quarto ufficiale e i relativi eventuali supplementi fanno piena prova circa ilcomportamento dei tesserati in occasione dello svolgimento delle gare”. E ciò che riguarda fatti e comportamenti dei non tesserati, come, nel nostro caso, il pubblico, va valutato unitamente aglialtri elementi presenti nel fascicolo. Nessun elemento valido, però, si pone in contrasto con quanto riportato dal direttore di gara. Nel caso che qui ci occupa non vi è un solo elemento che possa suffragare la tesi dei reclamanti.Il direttore di gara, nel referto arbitrale, ha evidenziato che al 30 ° del secondo tempo interrompeva il gioco per un fallo subito dal calciatore Lassana Keita dello Sporting, allorquando i sostenitori della squadra avversaria lo insultavano per cinque minuti con frasi razziste e tra queste “sei unnegro di merda”. Sempre l’arbitro ha rimarcato che solo grazie all’intervento dei dirigenti della squadra locale il giuoco poteva riprendere (questa parte del referto è certamente fonte di prova privilegiata, perché attiene al comportamento – positivo - dei tesserati). Orbene, non vi è alcun dubbio sulla ricostruzione dei fatti operata dal direttore di gara, che facendo buon uso delle regole poste a garanzia del regolare svolgimento delle gare, attese che i cori razzisti terminassero prima di riprendere la gara, dapprima interrotta per un fallo subito dal calciatore Keita. A questo punto il quesito da porsi è quello di verificare se le frasi riportate dall’arbitro nel rapporto,sostanzino o meno insulti razziali e di conseguenza se rientrino nel perimetro dell’art. 11 del CGS. Questa Corte ritiene che l’epiteto “negro di merda” integri quel comportamento discriminatorioevocato dal succitato art. 11 C.G.S. che al primo comma sanziona “…quale illecito disciplinare,ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motividi razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica….”La parola “negro”, semanticamente pregnante, veicola di per sé un giudizio di inferiorità e didisvalore sulla razza, che legata all’aggettivante “merda” non lascia dubbi sull’intento di offendere il calciatore con finalità di odio etnico e razziale. Lo stesso art. 11, al comma terzo, delinea la responsabilità delle società anche quando cori e grida per dimensione e percezione reale del fenomeno, siano espressione di discriminazione e la sanzione minima da infliggere, in caso di prima violazione, è quella prevista dall’art. 18, comma 1lett. e). Orbene, la circostanza che il direttore di gara abbia individuato il gruppo di tifosi autore delle frasi,oltre al fatto che il giuoco è stato ripreso dopo cinque minuti e solo dopo aver riportato gli stessi tifosi alla calma, fa sì che il comportamento rientri nella oggettiva rilevante dimensione e percezione del reale delineati dalla norma. La Corte
per questi motivi
- rigetta il reclamo promosso dalla società ASD Giovani Castropignano ed in riforma delprovvedimento del Giudice Sportivo, revoca la sanzione dell’ammenda con diffida ed applica alla società reclamante, a mente dell’art. 18, comma 1, lett. e) del CGS, l’obbligo di disputare due gare in casa senza la presenza dei tifosi locali;
- dispone acquisirsi la tassa reclamo se non ancora versata.